Per esperienza personale e per quanto mi hanno riferito numerosi colleghi, tra le obbligazioni subordinate che le banche vendono ai propri clienti ed i consulenti finanziari indipendenti vi è una inimicizia di lungo corso.
Andiamo per ordine. Di norma l’inizio del rapporto di consulenza con un Cliente è caratterizzato da una approfondita analisi del patrimonio finanziario del Cliente stesso, allo scopo di valutarne i rischi impliciti e tra questi i rischi di controparte. E’ una delle attività necessarie al fine di rendere poi – o confermare – adeguato il patrimonio stesso sulla base del profilo dell’interessato.
Questa attività, nell’esperienza sul campo, rileva in un elevato numero di casi la presenza nei portafogli dei Clienti di titoli emessi dalle stesse banche di cui sono correntisti, titoli caratterizzati sovente dal grado subordinato e pertanto dall’essere esposti ai rischi che si sono concretizzati nei casi di cui la cronaca parla in questi giorni.
E non è tutto: questi titoli sono sovente non quotati su mercati regolamentati, il che significa in pratica che chi volesse disfarsene dovrebbe rivenderli alla stessa banca che glieli ha collocati, pagando un bello scotto in termini di prezzo, sempre che l’operazione sia accettata. Hanno sovente rendimenti inferiori al giusto. E, soprattutto, sono sovente presenti in proporzioni – ossia costituiscono una tale percentuale del patrimonio personale del Cliente – da costituire un rischio ben superiore a qualsiasi accettabile livello di adeguatezza.
E’ ovvio che in questi casi il consiglio che ne consegue è, per lo meno, di ridurne il peso. Nei casi in cui il Cliente necessita di maggiore protezione, di disfarsene del tutto. Da quel momento in poi il consiglio di sottoscriverne altri è raro.
Tutto questo ovviamente ben sapendo che il male non sta nell’obbligazione subordinata in sé, ma nel suo scorretto abbinamento con il soggetto investitore. Scorretto a volte in termini di qualità dello strumento – determinati investitori non dovrebbero proprio sottoscriverle – a volte semplicemente in termini di quantità.
Non vi è alcuna pregiudiziale nei confronti di questi titoli, che possono costituire un utile strumento di rafforzamento del capitale delle banche e che neppure sono lo strumento finanziario a più elevato rischio che si possa ipotizzare entri nel patrimonio di un investitore privato. Il conflitto tra consulenti indipendenti e obbligazioni subordinate di emissione bancaria è dovuto al cattivo uso che si è fatto di queste ultime, non ad altro.
Veniamo ora a quanto è di recente avvenuto. E’ evidente che le disposizioni di legge, l’entrata in vigore della direttiva europea MiFID e l’attività di vigilanza non sono bastate a fare da freno ai comportamenti patologici di alcune banche. Tutto il sistema bancario è attraversato, seppure in varia misura, da fame di capitale. Evidentemente tra il rischio che la banca fallisca ed il rischio di esporre la banca stessa – se stessi meno, esperienza insegna – a indagini e sanzioni, non pochi manager tendono a preferire la seconda strada. E influenzano la consulenza esercitata dai propri sottoposti per fare raccolta e per fare profitti.
Unico filtro efficace è il consulente soggettivamente e totalmente indipendente dal sistema bancario e finanziario. Fino a quando non vi sarà un largo ricorso a tali consulenti, questi episodi tenderanno a ripetersi con frequenza e gravità costante. L’alternativa sarebbe un totale divieto per il privato di investire in strumenti finanziari che contengano qualche rischio. Il che comporterebbe rendimenti nulli o negativi in termini reali e la scelta di un sistema finanziario inefficiente.
Ovviamente neppure il largo ricorso ai consulenti finanziari indipendenti può azzerare tali rischi. E però in dieci anni di attività la nostra esperienza ci mostra che i nostri Clienti sono stati ben protetti.