“Investire in impianti fotovoltaici per diversificare rispetto al rischio dei mercati finanziari” è il nocciolo di una proposta ascoltata tre mesi fa nel corso di un incontro riservato a consulenti finanziari. Un’idea che certo è circolata parecchio negli ultimi tempi.
Un collega seduto a fianco ascolta, poi mormora: “Ma che diversificazione! E’ rischio Italia bello e buono!” La frase è forse un po’ tranchant ma coglie nel segno. Se non si diversificano i debitori, anzi se non si diversificano i processi economici che generano i flussi finanziari, non si fa vera diversificazione degli investimenti.
Che gli incentivi per il fotovoltaico fossero molto generosi qualcuno lo diceva da un po’. La convenienza degli investimenti, specie nel nostro Paese, poggiava sostanzialmente sul fatto che l’energia verde era pagata dallo Stato ben più del suo valore di mercato. Nel quadro economico e finanziario generale non poteva reggere a lungo.
I recenti decreti legislativi in materia di energie rinnovabili hanno il demerito di gettare quel mercato nell’incertezza, con tutte le conseguenze per gli investimenti già decisi e per il futuro del settore. Rispondono però alla regola generale che nessun debitore può pagare a lungo più di quanto guadagna. Ad un vero analista degli investimenti non possono giungere di sorpresa.
Al di là della questione specifica sulle energie rinnovabili e la loro incentivazione, certo assai complessa, vogliamo focalizzare sul concetto di diversificazione. Un’arte divenuta assai difficile nel contesto attuale. E cui bisogna essere disposti a pagare qualcosa in termini di rendimenti.