La Brexit è ormai un fatto, ma forse no. O non del tutto. Proviamo a spiegare il perché.
Seppure con una maggioranza non ampia, i cittadini del Regno Unito hanno indicato al proprio governo la scelta dell’uscita. Si tratta di un evento sostanzialmente inatteso. È vero che i timori di un simile esito avevano frenato i mercati azionari europei a partire da Aprile, ma non più di tanto. Negli ultimi giorni le previsioni di una vittoria del Leave si erano affacciate, ma tutto sommato i mercati finanziari non le avevano accreditate. E invece è avvenuto.
Quanto inatteso fosse questo scenario, anche da parte dell’establishment, lo dimostra la confusione della politica britannica nei giorni successivi, fino ad oggi. Anche le prime reazioni dei partners europei hanno impiagato qualche giorno a comporsi.
L’impatto sui mercati finanziari è noto: crollo delle azioni, recuperato in parte dopo appena pochi giorni; crollo della Sterlina Britannica, tutt’ora in corso; ampliamento degli spreads dei titoli di stato dei Paesi periferici dell’Eurozona, anch’esso recuperato ed anzi più che recuperato sulla scorta di promesse di intervento da parte delle banche centrali. Nervosismi a parte, è difficile pensare che non ci saranno conseguenze di medio e lungo periodo.
L’impatto sull’economia reale resta anch’esso in buona misura da verificare. È verosimile però che non assisteremo ad una catastrofe e questo non perché non si tratti di un fatto politico importante ma perché l’effetto si dispiegherà lentamente e perché – verosimilmente – verrà contenuto con la definizione del nuovo status del Regno Unito rispetto alla Unione Europea.
L’opinione pubblica britannica ed europea si rende ora meglio conto di quanto complessi e preziosi siano i legami tra i Paesi dell’Unione in termini di libertà di circolazione e di scambio, di uniformità normativa, di facilità di commercio, di semplificazione delle pratiche. Si dice che la UE ha complicato molto, e per certi aspetti è vero. Ma non va dimenticata la complessità dei tempi in cui ogni mille chilometri, se non di meno, si incontrava un confine, una dogana, un dazio, una legge diversa, una diversa moneta dal cambio futuro sempre incerto. Solo ora appare nel concreto tutto ciò cui si potrà esser costretti a rinunciare o si dovrà pagare più caro. Solo ora si fa concreta la prospettiva che lascino Londra migliaia di operatori finanziari dall’elevato reddito, e con loro se ne vadano i prezzi altissimi delle case, i ricchi ristoranti, ecc.
La politica britannica, palesemente, in questo momento non sa che pesci pigliare. La Scozia scalpita di nuovo. La UE può capitalizzare politicamente il rimorso di molti britannici ma, alla fine, non ha interesse a diventare più piccola e più povera.
Così pensiamo che, fatte dimenticare con l’aiuto del tempo le bellicose dichiarazioni dell’una e dell’altra parte, nella discrezione delle commissioni bilaterali UE-UK, qualche buon senso prevarrà e alla fine non cambierà troppo. Si consideri che l’integrazione britannica già oggi è parziale: la moneta propria, la vocazione globale della finanza britannica ma anche quella della sua politica, le numerose eccezioni alla legislazione comunitaria fanno già del Regno Unito un Paese che appartiene alla UE “ma fino a un certo punto”. Gli interessi delle imprese multinazionali, dei partners commerciali europei e ancor più gli interessi degli stessi britannici faranno probabilmente sì che divenga un Paese che non appartiene alla UE “ma fino a un certo punto”, con nuove regole che non si allontanano troppo dalle vecchie e con buona pace per i toni epici e sgangherati della campagna elettorale.
Resta il fatto che se questo avverrà, avverrà con le caratteristiche dell’incertezza, della lentezza e della complessità, fattori tutti che sono nemici dello sviluppo economico e soprattutto di ciò di cui più abbiamo bisogno, gli investimenti. Ci si può verosimilmente attendere una leggera ulteriore marginalizzazione dell’Europa nello scenario globale e, in misura un po’ maggiore, una marginalizzazione del Regno Unito nell’Europa e nel mondo.
Tutti ora prevedono infatti una più o meno ampia recessione in Gran Bretagna ed un ulteriore freno alla già lenta economia dell’Eurozona. E, di converso, è partita la campagna di comunicazione – per ora poco altro – della Banca d’Inghilterra, della BCE e di tutte le banche centrali per rassicurare i mercati. Campagna che ha fatto effetto. Che le quotazioni di titoli di stato, obbligazioni societarie e azioni possano beneficiare dell’azione di politica monetaria lo sappiamo. Che ne possa beneficiare l’economia reale è ormai assai dubbio.