Il totale del debito estero della Grecia, tra debito dello stato, delle imprese e dei privati – debito il cui rimborso sarebbe probabilmente più che dimezzato in valore reale in caso di ritorno alla dracma – ammonta a circa 400 miliardi di Euro. Una cifra che suona assai alta ma che rappresenta il 3% circa del totale del debito estero dell’area Euro – lo stesso si potrebbe dire rispetto agli Stati Uniti – e il 3% del suo PIL nonché lo 0,6% del PIL mondiale.
Una svalutazione dell’Euro del dieci per cento rispetto al complesso delle altre monete – prospettiva di medio periodo non certo esclusa dalle ipotesi ragionevoli – produrrebbe per i creditori esterni un danno assai maggiore del tracollo della Grecia e lo stesso vale per il Dollaro USA.
Eppure nell’ultima settimana il tema obbligato della stampa specializzata in finanza ed investimenti è l’ipotesi di uscita della Grecia dall’Euro. Se non, assai più praticamente, “dove portare i soldi in previsione della rovina europea”. Si presentano ipotesi sul destino delle obbligazioni in Euro emesse dai diversi Paesi e dalle società, si ragiona di conti correnti più o meno al sicuro da sorprese, si cerca la banca estera presso cui rifugiarsi.
Non si può ovviamente negare che una corsa disordinata verso la rottura dell’adesione greca alla moneta unica sarebbe foriera di problemi seri. Non avrebbe però la forza di fermare il mondo e, probabilmente, neppure l’Europa. Ed è ancora una ipotesi.
Nemmeno un paio di anni fa il coro dei commentatori associava il default del debito greco all’uscita della Grecia dalla moneta unica e ad una catastrofe finanziaria. Il default di fatto è avvenuto ma non si è verificata certo una catastrofe e la Grecia, per ora, nell’Euro c’è ancora. Una gestione soft dell’insolvibilità greca conveniva a tutti e pur con molte incertezze è stata realizzata.
La Grecia potrebbe essere ora il laboratorio di una uscita soft dalla moneta unica. Si tratta di una prospettiva che aprirebbe la porta alle ipotesi di uscita di altri Paesi e certo indebolirebbe sia l’Euro che l’economia mondiale. Ma anche in questo caso a tutti conviene gestire ordinatamente la situazione.
Oppure potrebbe essere il laboratorio della presa di coscienza che la stabilità vale, per tutti, più che l’utile di breve termine. Una presa di coscienza che non può non passare per l’elettorato greco, che dovrebbe dare una chiara maggioranza alle forze favorevoli alla moneta unica ed ai sacrifici necessari e possibili. Ed è per questo che crediamo che fino al 17 Giugno probabilmente non accadrà nulla di definitivo.
Ma anche la Germania ed i suoi satelliti dovrebbero prendere coscienza che, una volta accettati nel club dell’Euro i Paesi più deboli, giusto o sbagliato che fosse e di chiunque sia la colpa degli errori, la disciplina fiscale deve essere socialmente sostenibile. Del resto il supermarco o un Euro modellato sul supermarco non convengono nemmeno a loro, specie se frutto di una crisi disordinata e conflittuale.
Intanto ai risparmiatori si può consigliare di non farsi prendere dal panico e di esaminare con prudenza le ipotesi di smobilizzo e fuga. Un portafoglio ben costruito, se la crisi verosimilmente restasse entro la normalità, può almeno limitare molto le perdite, se non trarre profitto dalla situazione.
In genere le operazioni dettate dal panico sono molto costose sia in termini di costi vivi, seppur occulti, sia in termini di opportunità perdute. Molti degli “investimenti alternativi” presentati in questi giorni potrebbero costare parecchio in termini di trasloco, sia sotto il profilo economico che sotto quello delle noie legali e fiscali. E potrebbero deludere molto in termini di rendimento se Italia ed Europa sopravvivessero anche stavolta. Una sopravvivenza in cui non è irragionevole confidare, perché può essere fondata sulla capacità di produrre ricchezza. E questa capacità è certamente un po’ appannata ma altrettanto certamente non è estinta.